Alejandro González - Re|Costruction

Foto 1
Foto 2
Foto 3
Foto 4
Foto 5
Foto 6
Foto 7
Foto 8
Condividi

COMUNICATO STAMPA

Alejandro González Méndez (Avana, 1974) Lavora dall’inizio in maniera metodica con delle serie fotografiche che già nei titoli ¿Quien? (Chi?), 1999 e ¿Donde? (Dove?), 2000 indicano uno sguardo circolare su segmenti precisi di realtà sociale e architettonica cubana a lui contemporanei. Dai tranche-de-vie della fine degli anni 90, approda nel 2005 con AM-PM a una intenzionalità precisa di documentazione del presente e nello stesso anno, con Habana: Futuro (2005) alla messa a punto di un’operazione di scavo nel passato e nell’ideologia che lo ha costruito attraverso i suoi “monumenti sociali. Fino al 2012 segue il medesimo processo, riprende la vita e le cose con scatti sempre studiati, ripetuti, mai semplicemente casuali o estemporanei. La seconda fase inizia nel 2012-2013 con la prima tranche della serie Re-construction, ( in mostra in galleria)ove muta il modus operandi e compone le sue otografie “tableau vivent”4. Ovvero studia e progetta dei veri e propri set a grandezza naturale e diventa regista di un’operazione che richiede una troupe di scenografi, costumisti e attori che interpretano dei ruoli precisi. Sono messe in scena accuratissime che ricostruiscono con verosimiglianza momenti chiave della storia di Cuba passata e presente, arrivando anche a preconizzare un possibile futuro. Ovviamente fedele alla sua impostazione critica, Alejandro rivela una storia ufficialmente taciuta o dimenticata, con l’ambizione di ricucire la memoria collettiva di un popolo. La serie inizia con l’immagine del luogo dove per quarant’anni è nato il Granma, il quotidiano nazionale del Partito Comunista Cubano. Viene mostrato anche l’altro organo d’informazione ufficiale, il telegiornale della televisione cubana della sera NTV di Cubavisión, il canale televisivo più importante di Cuba. Qui invece la prospettiva è rovesciata: due operatori in ombra con le loro telecamere ci introducono in uno spazio a imbuto alla fine del quale stanno i due giornalisti (quelli veri) dietro le loro scrivanie. Ma lo sguardo inciampa subito nelle macchie illuminate dello sdrucito pavimento dello studio, solo poi vede i giornalisti, ridotti di misura e quindi di importanza (22 novembre 2012). Dalla storia politica del paese la retorica defluisce, lasciando posto ai momenti secondari, ai retroscena, ai fatti marginali: la macchina presidenziale di Fidel Castro nel 1984 coni due autisti o una riunione di routine del partito scarsamente partecipata dagli anni 70 in poi. Chiara e anonima invece è l’illuminazione dell’ufficio di 7 di luglio del 1989 da cui il funzionario si è temporaneamente assentato: il telefono in attesa, la sigaretta accesa nel portacenere. Tutto è allestito come sempre con precisione maniacale con numerosi particolari che fanno vagare il nostro sguardo tra l’enorme macchina da scrivere che occupa quasi per intero la brutta scrivania di metallo arrugginito, i vecchi VHS dell’altrettanto metallica libreria, il busto di Marx che serve da ferma libri, una fotografia che commemora un riconoscimento importante dell’occupante dell’ufficio, fino alla televisione, parte dell’arredo equivalente agli altri, dove viene trasmesso in tempo reale il processo contro Arnaldo Ochoa Sánchez, eroe della patria, generale e membro del Comitato Centrale del Partito Comunista, accusato di narcotraffico con il cartello di Medellín e di traffico di diamanti e avorio. Venne condannato a morte insieme ad altri tre accusati e la sentenza venne eseguita il 12 giugno del 1989. Contrariamente a questa puntuale copertura mediatica che rappresenta un momento di giustizia esemplare e dolorosa per Cuba, l’evento che doveva mutare il corso degli eventi in Occidente, la caduta del muro di Berlino, non venne mai trasmesso dalla televisione cubana 9 novembre 1989: la vita prosegue come sempre nello scalcinato interno di una casa comune. La fame di rete internet della popolazione cubana viene stigmatizzata da una fotografia in notturno, dove i visi di nonno e nipote sono illuminati dallo schermo del portatile, un po’ come nelle fotografie degli “Illuminati” di Evan Baden. Ma gli iconici ritratti a mezzobusto dell’artista arabo sono lontani dal tono affettivo e dal legame che unisce generazioni della rappresentazione di Alejandro (13 gennaio 2013). Il terzo progetto della serie Re-construction è Quinquenio gris (2015) e si riferisce al periodo che va dal 1970 al 1975, quando a seguito della perdita della grande sfida della raccolta dello zucchero, in cui si impegnò l’intera popolazione cubana, lo Stato ha dovuto deporre i sogni di autosufficienza economica e ha dovuto ripararsi sotto l’egida dell’Unione Sovietica. La stretta relazione con l’URSS ha dato avvio ad un periodo di intolleranza, di dogmatismo e di estrema burocratizzazione del sistema. La metodologia di Alejandro muta di nuovo: ora costruisce con un processo lungo e laborioso dei piccoli teatri con architetture di cartone e personaggi di piombo. Anche qui si serve di una équipe: all’inizio di un informatico per lo studio delle proporzioni, poi di un esperto di modellistica e architettura, infine di un artigiano abile nel lavoro del metallo. Questa volta rappresenta cinque momenti cruciali di quel quinquennio, servendosi come pezza d’appoggio di fotografie dell’epoca, che poi traduce in un teatrino di cartone e i personaggi a delle forme un po’ a birillo, estremamente stilizzate. Le fotografie sono interamente dominate dalle diverse sfumature di grigio, un grigio metallico, come quello di un proiettile, esaltato dall’uso sapiente delle luci. E’ il grigio che dà il nome al periodo e che deve descrivere anche gli umori compressi della gente. La serie si aprecon 1971, anno in cui si è svolto il Primo Congresso Nazionale per l’Educazione e la Cultura (CNEC) dove vengono stabilite le regole per un comportamento morale e rivoluzionario, da allora si apre la caccia alle streghe: omosessuali, artisti e intellettuali non allineati. Il quinquennio si conclude il 17 di dicembre del 1975 con la rappresentazione del Primo Congresso del Partito Comunista Cubano (PCC) al Teatro Karl Marx . Vi è schierata l’intera nomenclatura del Partito con dietro i ritratti dei fondatori storici del comunismo, i “capitani” cubani e i gerarchi russi, appesi a perpetuo monito ed esempio per la popolazione sulla grandiosa parete del palcoscenico. Sul podio centrale con la mano alzata, un gesto universalmente riconosciuto a Cuba, sta parlando Fidel Castro. Con quest’ultimo progetto, foriero di ulteriori ricerche, magari anche più lontane nel tempo, nel processo di scavo in profondità della storia di Cuba, i grandi sintomatici fatti della storia diventano un piccolo teatro popolato da fantocci. Una riflessione ironica ed amara, che si addolcisce appena con le note poetiche del balletto con il Lago dei Cigni all’apertura del Parco Lenin il 22 aprile del 1972. Vorrei soffermarmi in conclusione sul significato del titolo della serie: Ri-costruzione. Ricostruire indica costruire di nuovo una cosa materiale, un fatto, un pensiero. Nel nostro caso potremmo dire fornire una nuova immagine di un dato, quindi mutare il punto di vista e di seguito l’interpretazione di una realtà. E questo fa Alejandro. Lo denuncia, sin dal titolo. E per quanto la realtà dei fatti storici, perché di questo si tratta, sia spiegata da delle didascalie che chiarificano l’immagine e ne propongono un’interpretazione talvolta ambigua, nello stesso tempo le immagini, anche laddove sono di carattere “documentario”, come nel progetto del 2014, rimangono una ricostruzione, una manipolazione, un punto di vista soggettivo, un tentativo di meditazione, una proposta di focalizzazione fatta secondo delle precise scelte etiche ed estetiche.

[Testo di Carmen Lorenzetti]

Download PDF